Eddy CILIA , il MUCCHIO EXTRA , n. 14, Estate 2004
MACINA-GANG
Nel tempo ed oltre, cantando
"A cercare l'antefatto più lontano di questo disco nell'ultraventennale vicenda dei Gang si può risalire non a Storie d'Italia, l'album più rivisitato qui, e nemmeno al precedente Le radici e le ali, ossia al lavoro che sanzionava il passaggio, per il gruppo dei fratelli Severini, dall'inglese all'italiano, opera epocale non solo per loro ma per il rock tutto del Bel Paese. Nè al disco prima ancora, Reds, in cui con il senno di poi quella dell'inglese già pare una scelta innaturale a fronte di musiche fortemente nostre. No. E' addirittura fino all'autoprodotto debutto Tribes' Union, lontano 1984, che tocca tornare: là, nel brano forse più bello di quello che oggi è oggettivamente un apocrifo clashiano e il più (in)credibile di sempre e di chiunque, ossia in The Last Border, si libra una fisarmonica che potremmo chiamare tex-mex oppure riconoscere immediatamente per ciò che è, 100% marchigiana. Come dire che da subito il cuore era a Briton ma le radici a Filottrano. Presto le due anime si sarebbero scoperta una.
Storia assai più antica in tutti i sensi quella del "gruppo di canto popolare" - così è chiamato nelle note di copertina del primo lp Vene il sabado e vene il venere..., datato 1982 e uno dei grandi classici del folk tricolore - La Macina, formazione aperta ruotante fin dal fatale 1868 intorno alla straordinaria figura di Gastone Pietrucci, collettore di brani tradizionali e spicciole epopee contadine e operaie che semplicemente non potevano prima o poi non incontrarsi con quelle, così simili, dei Severini.
Il lungo corteggiamento, reso pubblico sin dal 2000 con i primi concerti in cui le due bande hanno diviso il palco, frutta ora un disco in cui i Macina cantano i Gang e viceversa ma non proprio, giacchè la ribalta è sempre occupata congiuntamente. Con esiti uniformemente eccellenti e superlativi almeno nel medley che congiunge il "frammento di canto narrativo" Stavo in bottega che lavoravo a La pianura dei sette fratelli, il poetico omaggio ai Cervi che nobilitava il troppo prosastico Una volta per sempre: racchiudendo interamente il senso di un esperimento reso irrinunciabile da una Kowalsky più spumeggiante che mai, da una Caridà caridà signora punkizzata, da una tragica Cecilia retta da un organo tracimante soul, dal tragitto dalle elettriche sospensioni di Fra giorno e nnotte so' ventiquattr'ore a una Eurialo e Niso fatta liturgia blues. Rugosa e rugginosa, la voce di Pietrucci sarà per molti una scoperta. Non così quella di Marino Severini, che più passano gli anni e più trasmette epicità autentica, non sceneggiata: vale sempre più per lui quello che disse una volta Peter Buck quando osservò che qualunque canzone, se cantata da Michel Stipe, diventa una canzone dei R.E.M. Ascoltate E' ffinidi i bozzi boni... e sappiatemi dire".
Eddy Cilia, il Mucchio Extra, n. 14, Estate 2004