Guido Festinese Per Gastone e La Macina
Guido Festinese
Per Gastone e La Macina
Jorge Luis Borges nei suoi “Testi Prigionieri” a un certo punto spiega cosa intenda per “tradizione”. Ci si aspetterebbe, da un prodigio di inventiva ospitato nel carapace duro di una persona profondamente nel complesso assai conservatrice, a volte quasi reazionaria, una sorta di benedizione delle statue, degli altari, dei marmi e degli incensi. Borges invece dice una cosa semplice, e geniale: “Questo deve essere la tradizione: uno strumento, non un perpetuarsi di malumori”. Provate ad accorpare questa frase dell'autore dell’Aleph a quella di Gustav Mahler, quando spiega che la tradizione deve essere custodia delle braci accese, non adorazione della cenere, ed avrete, in musica (e non solo) la più efficace descrizione dell'operato di Gastone Pietrucci con la sua Macina.
Certo, molto congiurerebbe nell'aspetto di Gastone, per fare dell’uomo con la barba bianca un custode della tradizione nell'altro senso, quello dei “laudatores temporis acti”, chi rimpiange tempi d'oro che non sono mai esistiti se non nelle inappropriate nostalgie di chi non sa aprire gli occhi sul mondo. Gastone e la Macina hanno attraversato, ad oggi, mezzo secolo di storia. E' la misura, lustro più, lustro meno, che è data attualmente a Homo sapiens per dispiegare il variegato arsenale di abilità che lasceranno un segno e un sogno a chi verrà dopo di noi. E' la scansione temporale (e sia detto senza un'oncia di nostalgia, sia chiaro) che ci è stata assegnata, e tanto vale usarla bene. Con gli strumenti giusti, perché Sapiens è l'unico animale che costruisce strumenti complessi. Modificandoli, nel caso.
La tradizione è uno strumento, non la scusa per blindarsi nella ridotta asettica della purezza tanto pura che alla fine scompare, come il principio attivo nella diluizione omeopatica. Se poi funziona anche quella, la purezza, la lasciamo tutta agli scaltri mestatori di parole usate come randelli in mano alle scimmie di 2001 odissea nello spazio: ad esempio la parola “patria”, troppo spesso usata per giustificare ex post i monumenti funebri di chi non aveva voglia di morire.
Gastone Pietrucci è un esperto di strumenti. De sapere, del fare. Che non sono in contraddizione: perché la Macina sa, ha saputo, e ha saputo fare. S'è trovato a operare, giovane, in un mondo che la “tradizione” la viveva ancora, ma su quel crinale pericoloso che non consente facili attraversamenti (e quando mai lo è, in fondo?). Allora la sua regione, e l'Italia tutta, viveva le ultime vampate forti di un processo di industrializzazione e di inurbamenti selvaggi, fuori da ogni controllo.
Il prezzo da pagare a una modernità costruita su nuovi “idola tribus” era rassegnarsi a veder scomparire forme di cultura contadina da allontanare con un misto di vergogna, risentimento. Una damnatio memoriae che voleva ripudiare miseria e fatica, non certo il contenuto di socialità e gli assetti valoriali che avvolgevano anche proficuamente gli individui in una civiltà che della comunicazione e dei legami di gruppo doveva fare un’arma di sopravvivenza.
Quando Gastone, registratore alla mano, ha cominciato a operare battendo in lungo e largo le sue Marche alla ricerca di quei brandelli di memoria musicale e testuale che rischiavano di sfilacciarsi nel vento dei cambiamenti, non molte erano le esperienze cui far riferimento. Si era agli albori di una riconsiderazione delle”culture popolari”, di un folk revival che ha prodotto anche molto velleitarismo, molte approssimazioni, e troppe rigide ingessature da teca museale di un patrimonio che, invece, è da intendersi come un nastro srotolato nei secoli: sempre uguale, sempre diverso.
Oggi, mezzo secolo dopo, la voce scheggiata, ispida e profonda di Gastone è ancora lì, a tenere saldo quel nastro: e piace ricordare, a proposito di “tradizione” intesa come polpa viva, e non algido scheletro minerale, che ogni volta Pietrucci ha saputo mettere più in alto l’asticella della sfida. Non per “tradire” quel patrimonio, ma per “tradurlo” in una contemporaneità che stenta a ritrovare il vocabolario della musica vera e viva.
Cercando e trovando echi classici per le “sue” filastrocche e canti narrativi, vestendo di frementi palpiti elettrici ballate antiche che non possiedono documenti d’identità, inseguendo i sentieri nascosti dove una piega melodica può condividere anche un momento di improvvisazione jazz. Gli dobbiamo molto, a Gastone Pietrucci.
E, tra molte generazioni, molti gli dovranno ancora di più.
Genova, 3 Maggio 2018
Comunicazione di Guido FESTINESE, per il Convegno Nazionale, Il "pozzo" della memoria. La ricerca sulla cultura popolare orale marchgiana e il contributo de La Macina alla scoperta, conservazione ed alla sua diffusione, Jesi, Galleria degli Stucchi dela Pinacoteca di Palazzo Pianetti, 8 Giugno 2018.