Massimo Raffaeli , Prefazione della brossura, "1968-1998-30 anni de La Macina" , 1998
Un compleanno
C’è un folclore museale e c’è invece un folclore attivo, per così dire militante, capace di collegare passato e presente, tramite uno choc o un cortocircuito che li rinnova vicendevolmente. Il lavoro de La Macina mira al presente ed in particolare a questo presente plastificato e perfettamente omologato, per aprirvi dei varchi, degli istanti di equilibrio e pienezza imprevedibile, traghettandoli a fatica coi suoini e le parole di una civiltà (quella rurarale a artigianale, della Marca chiusa e profonda) che altrimenti sembrerebbe persa per sempre.
Un paradosso, che però non è un paradosso, dà senso al percorso e lo orienta retrospettivamente: quando Gastone Pietrucci comincia a lavorare sul campo, anzi sul corpo fisico e acustico degli antichi canti della Vallesina, splendidamente coniugando filologia e pietas, sono gli anni in cui Pier Paolo Pasolini riconosce nei tratti della società affluente, neocapitalista e consumista, la morte e persino la cancellazione di una cultura millenaria ed internazionale: l’orizzonte delle piccole patrie rustiche, la civiltà degli aratri e delle pievi scandita dal ciclo delle stagioni, dalle umanissime ritualità della vita e della morte: E proprio sull’orlo di un nero dopo-storia Pisolini poteva scrivere versi come questi, nei modi di un testamento allora rivolto a nessuno:
Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. […] Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più.
Come se non potessero più esistere, etimologicamente, dei testimoni. Gastone è invece uno di costoro con i suoi compagni de La Macina, avvicendatisi nei decenni ma sempre fedeli a un esempio, a una medesima lezione di rigore testuale e di vivezza esistenziale. Ciò che la corrusca profezia di paolini paventava in estinzione (tutta quanta una antropologia popolare, del pensare e del sentire dal basso) torna nelle loro partiture coi ritmi e gli impulsi di un corpo/psiche intatto o meglio non ancora vulnerato dalla scissione che oggi lo divide solo per ammutolirlo. L’opera de La Mcina è epica perché ritrova un’integrità dell’esperienza vitale, obliata o da tempo inaccessibile: essa non distingue mai, né vuole, gli appetiti del corpo dal fervore della mente, il dolore dalla gioia, l’alto dal basso; spiritualità e carnalità vi si danno come una cosa sola, come la stessa cosa, alla lettera. Solo all’altezza di questa plenitudine sono vere e pronunciabili le parole basali della vita, i suoi elementi primi. Dunque l’acqua lustrale rampollata tanto tempo fa coi versi del poeta di casarsa sia finalmente d’augurio a Gastone, ai musicisti e ai molti estimatori de La Macina; che il suo sapore dolce, di struggente patina romanza, possa esserne il lungo viatico:
Fontana di aga tal me paìs. A no è aga pì frescia che tal me paìs. Fontana di rustic amòur.
Massimo Raffaeli, dalla Prefazione della brossura 1968-1998 - 30 anni de La Macina, 13° Monsano Folk Festival, 1998, poi come presentazione nel CD La Macina, Silenzio, canta La Macina! (La Macina canta trent’anni della sua storia: 1968-1998), 050CD-W999, 1999]