Massimo Raffaeli , dalla presentazione al CD, "Je se vedea le porte dell’affanno", 1996
"Per La Macina
Se c’è un tratto che caratterizza la produzione artistica marchigiana, questo è la concretezza, lo spessore del segno, che però si lega alla contentezza del gesto, quasi che il paesaggio a misura d’uomo potesse vaccinare sia dagli eccessi del naturalismo sia da quelli dell’intellettualismo. Così l’arte dotta mantiene sempre qualcosa dell’arte popolare, e viceversa, come nell’antichissima Canzone del Castra (amata da dante), avventura campestre e amore fuorivia che infatti ritma carne e lingua, sensi svegli e ragione. In anticipo di secoli, sembra un testo scritto apposta per La Macina, il gruppo musicale che muovendo dal lavoro di Gastone Pietrucci sui canti della Vallesina ha poi attraversato tutto quanto il repertorio, ereditandone la tradizione non per congelarla ma per attivarla ed estrarne il nucleo di fisicità e tenera spiritualità che da sempre la segna. Chiunque abbia veduto un’acquaforte di Bartolini e un cielo di Osvaldo Licini, chi abbia letto le estasi carnali di Olimpo da Sassoferrato o di Scataglini, chi abbia infine ascoltato una volta la struggente ambivalenza di organetto e voce contadina, sa già qual è la costellazione de La Macina, quali i suoi riferimenti. Parole/suoni/immagini che dicono le semplici e arcaiche occasioni della vita, l’amore, la morte la fatica del lavoro, il pensiero e la preghiera, la gioia del corpo; e le fissano in via definitiva, ritrovandole ogni volta nell’utopia melodica del puro esserci, dove storia e natura, iop e mondo, sono ormai una cosa sola. Una pura necessità di canto".
Massimo Raffaeli, Chiaravalle, 12 dicembre 1996
[Presentazione nel CD La Macina, Je se vedea le porte dell’affanno…, 050CD-W898, 1997]