Guido FESTINESE , Il Manifesto, 11 Agosto, 1999
14° MONSANO FOLK FESTIVAL 1999
GIRA LA MACINA E RIPASSA LA MUSICA DELLE MARCHE Il gruppo folk riscopre un patrimonio popolare invia d'estinzione
Recupero di memoria e tradizioni popolari, dalle filandare al vatocco, da leopardi a De Andrè.
" Monsano. - Attilia Rocchegiani Catani, ottandue anni, ha un doppio cognome che profuma di nobiltà. Ma nobiltà del lavoro, la sua. Un quarto di secolo nelle filande di Jesi, a cominciare da quando aveva dieci anni, in piedi per raggiungere il bancheto con i catini d'acqua. Non si poteva mangiare durante il turno, e allora il pane, portato di nascosto, si arraffava da sotto il banco, mischiato ai bachi. Le mani crepate dall'acqua bollente si curavano con l'urina. Non si poteva parlare, durante il lavoro, ma cantare sì. E allora, come nelle storie delle piantagioni dei neri d'America, passavano tante storie, ci si informava, si raccontavano fatti e aneddoti mantre il sorvegliante faceva la ronda fra i banchi. Oggi Attilia riceve dallo stato cinquecentosessantamila lire al mese di pensione, ma è fiera e orgogliosa come non mai. Perchè gli amici del gruppo della Macina hanno saputo ritrovarla, ascoltare i suoi canti, e le offrono il rispetto e la considerazione che si deve a una regina proletaria. A lei come a Maria Benedetti Giannini, filandara di Romagna, come a Lea Luconi Ceccarelli: sono le Voci della terra, e la antichissima chiesetta degli Aròli nell'anconetano si stipa di gente attenta e commossa, nella canicola violenta a quaranta gradi, quando risuonano la ballata de Il marito giustiziere o La Cecilia, imparate su quei foglietti inchiostrati che si compravano alle fiere. Piccoli miracoli concreti di un Festival che regala emozioni a fiotti, che insegue il filo della memoria e della coscienza senza velleità museali. Il Monsano Folk Festival, chiusosi domenica scorsa dopo quattro serate fitte di concerti, un'invenzione di Gastone Pietrucci e della sua Macina, trent'anni ed oltre di cocciuta volontà di esserci, di testimoniare, di aprire strade inaspettate ad un petrimonio di musiche popolari che rischiavano di svanire nell'oblio frettoloso e sciatto dei nostri giorni. Qui è successo il contrario: La Macina, e il Centro Tradizioni Popolari ad essa collegato, archivio smisurato di oltre un trentennio di ricerche sul campo, incide dischi importanti, ha ricretao le Pasquelle e la tradizione dei canti del maggio, va a stanare antichi e nuovissimi talenti, fruga con intelligente curiosità nei ricordi della gente delle Marche, inventa progetti che sono un bilico sottile e poeticissimo fra concretezza del fatto ed aperture sul futuro. Quest'anno la memoria e il presente sporto su quello quello che verrà era davvero un filo rosso e potente, nel Festival.
A cominciare dalla splendida data d'inizio, giovedì scorso, Facciate alla finestra Luciola, in cui la Macina ritrovava un Leopardi segreto e struggente (Recanati è appena dietro l'angolo), amico gentile e rispettoso trascrittore dei canti della gente comune, quella che affollava la piazzetta del Sabato del villaggio. Un progetto curato da Donatella Donati, con la voce recitante di Rodolfo Craja, le parole di Patrizia Ginobili, la Macina al gran completo, ed una delle più squassanti realtà nascoste del canto popolare italiano, il gruppo spontaneo di Petriolo. Loro cantano e improvvisano da una vita il misterioso, selvatico canto a vatocco: parte una voce, al primo endecasillabo ne subentra un altro, ai limiti della dissonanza, alla fine le voci sono tre, e il canto prende melismi oscillanti e strani. Il Mistero delle voci bulgare qui, altre che mode. E Nazzareno Saldari, ottantasei anni, assieme a Lina Marinozzi Lattanzi e Domenico Ciccioli si fa beffe dell'anagrafe e degli acciacchi, esattamente come i supernonni del son cubano celebrati in Buena Vista Social Club La sera successiva, altre sorprese: un combattivo gruppo di crossover: i Fun K Monks, a cifrare nell'elettricità pura il repertorio trentennale della Macina, e poi un'altra idea vincente: Da Bocca di Rosa a Catarinella, ovvero come rileggere il canzoniere di Fabrizio De Andrè inseguendo il filo delle strofe popolari che il poeta di Marinella ha saputo rintraccaire e reinventare: struggimento puro, ad ascoltare le casse che diffondevano una voce antica marchigiana che declinava Volta la carta, quasi identica a quella di Fabrizio, e poi scoprire che Maria nella bottega del falegname ha una genella segreta, da queste parti, in Piane piange Maria povera donna... La Macina s'è fermata, il sabato per dar spazio ad altre intensità folk: il gruppo fiammingo Amazone Atelier nella Chiesetta degli Aròli, i trascinanti Dibidil scotoirlandesi in piazza. Ma il più giovane de La Macina, Roberto Lucanero, all'una di notte s'è inventato un concertino per fisarmonica, voce e organetto in un vicolo a ridosso del palazzo fortificato di Monsano: giri di danza con un folletto gentile e sorridente, in pratica. Il prossimo grande nome del folk revival senza nostalgie interessate. Sortir un disco, invece, è l'avventuroso incontro che ha siglato la fine del Festival, in un piccolo trionfo di pubblico: Rossana Casale con la sua vocalità jazz ardita e raffinata (in uscita un disco con rivisitazioni in jazz delle canzoni di Jacques Brel), la Macina con la forza della tradizione orale. I ruoli si sono invertiti: il grppo marchigiano ha scelto di proporre inediti arrangiamenti per voci, chitarre, fisarmoniche e tamburelli delle canzoni più belle della Casale (qualcuna per tutte: Tempo perduto, Terra), la Casale, emozionatissima, cantava le serenate, le Pasquelle, le ballate antiche e le ninnenanne della Macina, visibilmente emozionata e commossa, e ritemprata dall'onda potente e sensuale del saltarello."
Guido Festinese, Gira la Macina e ripassa la musica delle Marche, il Manifesto, mercoledì 11 Agosto 1999.