GUIDO FESTINESE, Il Manifesto, 3 Aprile 2010
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Partiamo dalla doppia attribuzione, in titolo: Gastone Pietrucci “è” La Macina, il cuore pulsante che convoglia e spinge, con ostinata saggezza, un percorso che ormai attraversa i decenni. Le cronache potrebbero andare assai lontano, in epoche in cui c’era Giovanna Marini e poco più, a cercare il senso dell’oggi in tanti “ieri” della musica popolare che era conveniente lasciar morire d’inedia, nel vortice d’ottimismo gelido che annunciava tempi speciali e consumo per tutti. Lo “ieri” di Gastone Pietrucci erano le Marche delle filandare, del canto a vatocco, delle ballate tragiche del grande Nord filtrate, lì, in mille travestimenti diversi, e che lui s’è andato a cercare, per imparare a ricantarle, perché non morissero. Questo è il terzo capitolo dell’ Aedo, e siamo ormai a una sorta di pulsante “archivio della memoria” che ha dovuto incorporare nella scheggiata voce di pietra e di vento di Pietrucci altri materiali, che molti non crederanno “folk”: perché anche Piero Ciampi “Litaliano” come diceva Sartre, è un brandello di memoria che non deve andarsene, perché anche il Pasolini di Supplica a mia madre merita adeguata, sobria veste musicale. E che dire del Savona di E’ lunga la strada, percorso davvero “a latere” delle vicende del Quartetto Cetra? Sia come sia, qui partecipano, al solito, compagni di percorso che nobilitano il tutto con il dono della sincerità, senza schermi e paracadute: i Gang, l’Orchestra da Camera di Jesi, Ambrogio Sparagna e tanti altri. Perfino la Banda Osiris tiene un passo sobrio, ancorché monello. Dovuto, a un Signore del canto.
Ultimo aggiornamento (Mercoledì 28 Aprile 2010 16:26)