Luciano Galassi , Loreto, 21 Aprile 2008
Da una lettera ricevuta il 23 Aprile:
"Gentile Gastone, non credo tu possa ricordati di me, tuttavia le nostre strade si sono incrociate più volte, da lontano, seguendo con passione il filo longevo e vitale della "Macina", le sue "contaminazioni" con la Gang e il Gran Concerto con gli Ambàradan, e le varie manifestazioni legate ai canti rituali di questua e intese a conservare e riproporre, almeno in parte, al cultura del mondo contadino. [...] Ti scrivo perché domenica 20 aprile, a Recanati, ho assistito ad un concerto - "Nel fragoroso silenzio di Dio" - proposto da Marco Poeta e l suo gruppo (tra gli altri, anche Adriano Taborro) e dedicato alla vita e al pensiero di Thomas Merton. Tra i vari brani presentati, è stato proposto anche il canto "Sotto la croce Mmaria..." - capolavoro d'amore e di lacerante e lacerata dignità - da te, in precedenza, magistralmente interpretato. A casa ho riascoltato più volte il tuo brano, che è per me ogni volta fonte di grande e profonda commozione, fino alle lacrime e, per quei fili misteriosi che a volte, improvvisamente, ci fanno realizzare la sintesi preziosa di un pensiero, attorno al quale si è magari girato per anni, ho creduto di cogliere il senso di tanta passione e di tante energie dedicate ad un mondo oramai scomparso.
La voce degli ultimi, dei poveri, dei contadini, raramente ha trovato spazio su quel palcoscenico "artificiale" che chiamiamo storia, e che è stato puntualmente amministrato e gestito dalle classi egemoni, che hanno attribuito a loro stesse il primato della cultura, dell'arte, della "voce", del potere di fare e disfare, dimenticando o negando la voce e la presenza di chi, con fatica, il sudore, la sottomissione, la mancanza di riconoscimenti, e a volte anche il sangue, quel mondo nutriva. Di quegli uomini sono rimaste poche tracce (a parte i libri scritti da altri su di loro), come gli oggetti materiali, gli strumenti del lavoro e della quotidianità, ora collocati nei vari musei del mondo contadino, oppure i canti e le danze che sono giunti sino a noi, e ai quali la tua opera e quella dei tuoi collaboratori ha dato testimonianza. Quella gente non ha avuto la possibilità né gli strumenti per potersi esprimere al pari di un Dante o di un Petrarca, tuttuvia credo che la tenerezza, la delicatezza, la sensibilità, l'amorevolezza, la tenacia e la forza, abbiano fatto parte integrante delle loro esistenze. Ma lo spazio gestito dai potenti, che erano preoccupati solamente della propria immagine e che troppo spesso "dimenticavano" le violenze, le ingiustizie e i soprusi da loro perpetrati, non consentiva che la realtà di quegli uomini facesse parte della storia da ricordare. Luce accecante per loro e ombra per tutti gli altri. Così mi sento di dire che anche la tua opera, specialmente per quanto riguarda le Marche, è un atto di "dovuta" e riconoscente "riparazione", di recupero di una dignità negata, e testimonianza della vita di esseri umani che hanno certamente contribuito anche loro, come artefici, al cammino dell'uomo. Anch'io sono figlio di contadini e anche i miei nonni lo erano. Alla gente dei campi io sono profondamente grato, anche perché ha costituito il mondo della mia infanzia, un buon mondo, semplice e pieno di vitalità, di generosità e di saggezza, seppure segnato da fatiche pesanti e, spesso, dalla miseria. Non intendo certamente farne un'immagine idilliaca, visto che anche quel mondo conteneva una varietà e una diversità di "paste umane", ma la sintesi e il senso ai quali sento di essere ora pervenuto, li percepisco come il mio atto di celebrazione del mondo contadino, ingiustamente posto ai margini dell'esistenza comune. E' "l'altare" di una sacra memoria, davati al quale possiamo ancora accendere il lumicino della nostra riconoscenza, rivendic ando per noi, quali figli ed eredi, quella possibilità di espressione a loro storicamente negata. Un grido del dolore, della dignità e della memoria, che finalmente raggiunga, anche per loro, il cielo, a sciogliere, magari nelle lacrime, un nodo di ingiustizia e di colpevole dimenticanza. Concludo con una mia breve e semplice poesia che sintetizza tutto ciò:
Canto la gente senza memoria gettata fuori dai libri di storia canto la voce, le lacrime stanche di umili genti, dalle mani ormai sante.
Grazie per tutto quello che hai fatto e che continui a fare, con passione e generosità.
Luciano GALASSI, Loreto , 21 Aprile 2008"