Alberto PIERUCCI ,Jesi e la sua Valle, venerdì 21 Aprile 1989
IL PAGINONE
NOZZE D'ARGENTO CON IL FOLK
Il primo amore nasce nel '65 al festival dei Due Mondi a Spoleto. A Monsano la costituzione del primo club, tre anni dopo. Poi una serie notevolissima di spettacoli e di studi. "La Macina" è un'etichetta conosciutissima e stimata.
"Il Gruppo di canto Popolare "La Macina", com'è noto, svolge la sua attività in vari centri dellaprovincia di Ancona, attraverso alcuni appuntamenti fissi che coincidono con l'Epifania per la Pasquella, l'avvento della primavera per lo Scacciamarzo, la Settimana Santa per la Passione ed il mese di maggio per il Cantamaggio; inoltre con tante esibizioni supplementari e non certo secondarie che hanno luogo al Teatro Pergolesi di Jesi ed in altre sedi, non solo in ambito provinciale e regionale, ma anche nazionale ed auropeo. Ma non sarebbe facile immaginare "La Macina" senza la figurta di Gastone Pietrucci; egli infatti, del gruppo, è stato l'ideatore,l'artefice primo e ne è tuttora il cervello e l'anima. Per entrare meglio nello spirito di questa interessante realtà che ha pertinenza sia con lo spettacolo che con la cultura in un senso più ampio, per conoscerne la storia, intenti e programmi, abbiamo formulato proprio al leader del gruppo queste domande.
Quando è nata "La Macina" e perchè questo nome? "Era il 1968 quando ha avuto la sua origine, a Monsano, inizialmente con la fisionomia di un club. Eravamo un gruppo di amici con la passione del canto popolare che ci univa e così ci incontravamo nella cantina del parroco, a parlare, cantare, suonare. Lì fuori c'era una di quelle vecchie macine da mulino, di pietra: è stata una cosa immediata assumerla come nostro emblema. Riferimenti anche alla vita con il suo girare continuo, come quello di una macina? Oppure il richiamo a qualche cosa di umile e forte insieme, legato alla vita di una volta? Ma la macina era comunque lì, la vedevamp ogni giorno ed era un riferimento".
Come ti è sorto l'interesse per il canto popolare? Che cosa ti proponevi all'inizio? "E' cominciato verso il '65. Dimoravo a Spoleto allora, e fu determinante l'incontro con Giovanna Daffini, Caterina Bueno, Giovanna Marini, Michele Straniero ed il Trio di Piadena nella sua genuina forma originaria: si esibivano al Teatro "Caio Melisso" nello spettacolo "Bella ciao" nell'ambito del Festival dei Due Mondi. Era musica popolare autentica, roba che aveva un'anima ed un significato; davvero un altro pianeta rispetto agli steroptipi di sanremo e della musica commerciale in genere. Si può dire che sia nato lì, dunque, il mio interesse per questo genere. Poi la mia tesi di laurea con il professor Venturelli, sulle tradizioni popolari, alla Facoltà di Sociologia di Urbino, nel '77. A livello operativo, cominciai con "Dolorosa ci fu la partenza..." del '68 e di "Sballottato fra Signore e Padrone" del 1973, chiari rifacimenti mirati a "Bella ciao" e mi proponevo solo questo; era nata "La Macina", come ricordavo. Poi, nel '73, ho dato il via alla ricerca nel territorio e nel '76 ho iniziato a dare forma alle cose, più o meno con il criterio con cui nascono oggi.".
In quali direzioni è volta oggi la tua ricerca per quanto riguarda i generi, le persone, i luoghi e dove andavi a frugare inizialmente? "La prima fonte di conoscenza alla quale ho attinto è stata la campagna di Monsano: si chiama Pietro Bolletta, l'uomo che mi ha fornito il primo materiale. Poi la ricerca si è allargata e così ho conosciuto altri portatori orali della tradizione canora della nostra terra: cantori e suonatori che avevano ormai smesso la loro attività spontanea per l'avanzare inesorabile di un nuovo tipo di civiltà , quella attuale appunto, che rapidamente ha travolto gli antichi valori, sommergendo usi e tradizioni. In seguito ho esplorato quello che restava dell'ambito fecondissimo delle ex filandare jesine. Quartina Lombardi, Armanda Animobono e altre straordinarie, a volte commoventi testimoni di un passato così povero ed insieme così ricco. Ora, ovviamente, la ricerca è condotta anche fuori dello stretto circondario di Jesi ed i suoi castelli, per estendersi in tutta la regione marchigiana edcanche nello Spoletino".
Il tuo impegno personale non consiste solo nel tenere in piedi "La Macina", nel dirigerla e nel cantare insieme agli altri elementi del gruppo, ma hai anche pubblicato un libro. Vuoi parlarne? Hai anche altri programmi in questa direzione? "Sì. Il libro, come tu sai, s'intitola "Cultura Popolare Marchigiana" e reca per sottotitolo "Canti e testi tradizionali raccolti nella Vallesina". In effetti, la ricerca dei testi, la loro raccolta, la ricomposizione attenta e meticolosa costituiscono la ragione principale del mio impegno, anche per il futuro".
Lo scorso inverno, nel nostro Teatro, avete proposto al pubblico ("La Macina canta Nigra") i canti popolari piemontesi raccolti nel secolo scorso da Costantino Nigra ed eseguiti da cantori di quella regione (Donata Pinti e Maurizio Martinotti); in parallelo, voi avete cantato brani popolari marchigiani che presentano un contenuto analogo. E' evidente che solo una ricerca filologica attenta e sapiente ha potuto condurti a queste esperienze ed a questi approdi. "Se sei uno studioso di questo settore, il Nigra devi tenerlo presente come caposaldo, un riferimento costante e soprattutto non puoi ignorare il suo libro "Canti popolari del Piemonte". Assumeva poi un significato particolare un'iniziativa come quella che hai ricordato, in quanto nell'88 cadeva il centenario della pubblicazione di quel libro preziosissimo. Quanto all'importanza del confronto fra canti popolari di diverse regioni, procura emozione talvolta, oltre al piacere della scoperta, vedere come la sostanza delle parole e magari anche del motivo musicale siano sovrapponibili in una matrice unica che affonda le radici lontano nel tempo; addirittura, a volte, fino ai canti del Medio Evo, che la tradizione orale ha portato fino a noi e sui quali le varie culture locali hanno depositato a poco a poco i loro segni distintivi, la specificità dei loro caratteri particolari. La comparazione anche a livello di spettacolo, quindi, costituisce un aspetto importante e che offre anche allo spettatore motivi di cerscita, stimolandolo all'analisi e quindi ad una fruizione più ricca ed interessante. E' evidente,quindi, che lo studio di ricerca sottende tutto questo e resta pertanto il lavoro principale anche per il mio futuro".
Le vostre incisioni, in dischi e cassette, oltre alla funzione di dilettare chi oggi vi apprezza, hanno anche quella di documentare la tradizione del canto popolare nella nostra terra. Rimarranno perciò come strumenti di conoscenza per i posteri. Immagino che questo sia per te ed i tuoi compagni de "La Macina" un motivo di soddisfazione e di orgogglio. E' così? "Sicuro. Ogni nuova opera che incidiamo ci dà la misura di quanto sia proficuo il nostro lavoro. Il successo che riportiamo nel corso di una serata di spettacolo, gli applausi, possono essere cose effimere, in fin dei conti. Ma quello che rimane scritto od inciso ha un suo valore oggettivo, che resta come documento e sussidio per ulteriori indagini e ricerche che altri sicuramente faranno dopo di noi. E' questo, forse, lo stimolo più grande che noi stessi ci diamo per continuare".
Raccogliere testimonianze orali autentiche di ulteriori antichi canti sarà sempre più difficile, ovviamente. Ad un certo punto, quindi, quando il repertorio non potrà più crescere, sarete costretti a ripetervi. Ed allora, quale sarà il futuro de "La Macina"? "Non devi credere, intanto, che il materiale non ancora riportato alla luce vada esaurendosi. A saper cercare e ad avere tempo per farlo, c'è ancora un pozzo di poesie, canti, filastrocche da reperire. Inoltre, con il solo cumulo di pezzi già raccolti in quaderni, c'è' da lavorare per anni e di testi da offrire al pubblico, non ancora "rispolverati", ce ne sono in abbondanza. Attualmente, per esempio, sto lavorando per poter giungere ad una nuova pubblicazione che avrà per titolo "Angelo che me l'hai ferito 'l core..." e raccoglierà ben tredici pezzi inediti. Il futuro della nostra attività si volgerà in particolare al lavoro di ricerca, di catalogazione e di studio oltre che all'organizzazione di rassegne, festivals, spettacoli. E' proprio in questa prospettiva che è sorto il "Centro Tradizooni Popolari", con sede a Polverigi e di cui sono direttore e che per la fisionomia specificamente culturale che intende darsi riceve contributi e sovvenzioni dalle Amministrazioni provinciale e regionale e che costituirà anche un centro di proposta di lavoro, nel proprio ambito, anche attarverso l'istituzione di borse di studio. Tutto lascia supporre, che il nostro futuro possa essere ancora più fecondo del passato e del presente".
Alberto Pierucci, Jesi e la sua Valle, Venerdì 21 Aprile 1989