Francesco SCARABICCHI, Ancona, Teatro delle Muse, 26 Novembre 2006
“Ancona è uno spazio mentale”
Dov’è che la poesia apre un uscio alla musica? Quando la parola verticale del senso può farsi anche canzone e offrirsi, in rarissimi casi, ad una voce? Quando ha già in sé le chiavi di quell’uscio, le dosi giuste per essere altra pronuncia e scegliere un’ulteriore via popolare conservando intatta l’umiltà della sua aristocrazia. Seguendo da vicino l’itinerario che ha condotto Gastone Pietrucci e La Macina verso la poesia di Franco Scataglini mi sono accorto, ascoltando le diverse prove che venivano man mano portate a compimento, di quanta discrezione stesse nell’abito musicale, di quanto si fosse tentata, riuscendoci, una prossimità tra parola scritta e partitura, di come la composizione avesse tenuto conto dei temi e della lingua, senza scartare via di lato, senza togliere o aggiungere, senza svisare.
Da quell’universo di esistenze al ciglio, di destini persi o salvati, di screziate luci d’interno di cui si nutre la poesia di Scataglini nelle sue più acute valenze, nel suo diagramma d’oro e di buio, La Macina attinge i grani luminosi di un’esperienza che intreccia il loro lungo percorso - dentro la tradizione antica fino ad una contemporaneità bruciante, amorosa, struggente e tesa – con quello di uno fra i maggiori autori lirici del secondo Novecento che a sua volta è disceso fino alle radici lontanissime del volgare e delle origini della lingua con le trame arcaiche di una parola che si innesta dentro il corpo dell’italiano cólto e còlto nelle sue più acuminate e “semplici” forme di un lessico piano e petroso, accanto al suo “agontano”, via via raffinato al grado massimo di trasparenza, leggero e “pesante” nel calco assoluto, nella disponibilità ad aprirsi alle opportunità del senso, alle sue “possibilità” continuamente interrogate proprio là dove la vita – riattraversata e stremata fino allo spasimo – compie l’opera incarnandosi, tra paradiso e plebe. La Macina, voce e spartito, approssima quel nodo, si prova a scioglierlo nel chiarore cupo del canto, nelle dune e nelle lune che Gastone Pietrucci percorre e accende, nei precipizi e nei gorghi dove s’abbassa e trema, sulle cime di brividi e gelo incandescente, tra grazia e colpa, tra bestemmia e lamento, tra sacro e profano. Le quartine gemmate consentono, nella loro “chiusura”, passaggi e fessure da cui balenano gli squarci di bellezza e pena, di straziato candore. Da quegli squarci si sporge il canto, tocca le parole perfette, le attraversa, le accende della loro stessa luce, le restituisce al dono del mondo.
Francesco Scarabicchi, Dietro le quinte della tua città – Franco Scataglini – La città e il suo poeta – FAI-Fondo per l’ambiente italiano, Ancona, Teatro delle Muse, 26 novembre 2006]